Vedi Napoli e poi…torni!

Ho passato qualche giorno a Napoli e poco più che un pomeriggio per fare un po’ di street photography in un ambiente unico al mondo. Napoli è la capitale italiana della street photography, qui la storia del territorio si fonde con quella di un’umanità che per 2500 anni ha vissuto, amato, costruito opere d’arte di una bellezza unica ed è morta in questa straordinaria città.

Goethe riportava il detto napoletano “vedi Napoli e poi muori” io dico “vedi Napoli e poi…torni”, una vita intera non basta per raccontare Napoli.

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L’altra faccia di Bali e Lombok – parte 1

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La pagina che hai aperto è un’ottima sintesi di quello che Bali rappresenta agli occhi di un turista: templi esotici a strapiombo sul mare, resort da sogno, onde e surfisti, ballerine, scimmie, risaie… Le compagnie turistiche del posto ci accompagnano tra un tempio e l’altro, per lasciarci ad Ubud o a Kuta la sera, in strade brulicanti di negozi alla moda e locali trendy. Posti belli ed esotici, dolce vita, relax. Una vacanza perfetta, ma un viaggio scadente, dove risulta difficile condividere qualche momento con la gente del posto e capire davvero come vivono.

Dopo diversi viaggi intorno al mondo ho imparato che i ricordi più belli e le foto più interessanti non si trovano quasi mai a destinazione, ma piuttosto in soste non programmate nei posti più anonimi e banali del paese, dove la vita di tutti giorni continua al riparo dalle orde di turisti.

Il nostro autista ci guarda perplesso quando gli chiediamo di fermarci in un villaggio a caso sulla strada per Ubud, e non lo posso biasimare, come reagirei se un turista straniero fosse più interessato ad un paesino di pianura che ad palazzo rinascimentale? Trovare qualcosa di speciale in scene quotidiane è una delle qualità che ammiro di più nei fotografi di strada. Per ora, a me risulta semplice solo nell’altra metà del mondo.

Ci incamminiamo per i vicoli, e in un incrocio scatto questa foto, una delle mie preferite di tutto il viaggio, perchè in un solo scatto riunisce svariati elementi della cultura balinese.

Bali, daily life

Ci sono bandiere ovunque, quelle indonesiane, la cui festa nazionale è il 17 agosto, 3 giorni dopo la data di questa foto. Lunghe canne di bambù decorate, i penjor, adornano le strade. “Simili” ai nostri alberi di natale, i penjor vengono eretti in occasione del Galungan, una festività induista che celebra il ritorno degli spiriti ancestrali sulla terra. Sulla destra della foto, un cartello mostra un uomo che tiene in mano un gallo. I balinesi li fanno combattere durante i tajen, rituali religiosi per scacciare spiriti malgini; molto più spesso, li fanno combattere per divertimento, scommettendo soldi sul vincitore. La pratica è illegale, ma i combattimenti clandestini sono estremamente popolari e parte integrante della cultura locale. Il governo chiude un occhio.

Sulla strada, un uomo prepara una canang sari, un’offerta agli dei con noci, fiori, tabacco, e qualche moneta. Questi piccoli cestini sono ovunque: case, templi, statue, persino su motorini e biciclette; sono un offerta al dio supremo Shang Hyang Widi Wasa, per la pace che regna su Bali. Ogni mattina gli abitanti sacrificano al dio il tempo consacrato alla preparazione del dono.

Continuiamo a passeggiare, incrocio un bambino in bicletta che trasporta un aquilone più grande di lui.

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Basta alzare gli occhi al cielo per vedere quanto gli aquiloni siano popolari a Bali, sono ovunque, e sono parte integrante della cultura Balinese. Gli abitanti dei villaggi costruiscono aquiloni di varie forme e dimensioni, alcuni sono enormi, fino a 10 metri, e vengono manovrati da una squadra di persone, non è raro incrociarne alcuni per strada.

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Al giorno d’oggi gli aquiloni vengono fatti volare per divertimento, tradizione e competizione, ma un tempo il loro volo aveva utilità pratica e religiosa: piccoli aquiloni vicino ai campi coltivati fungevano da spaventapasseri, mentre gli aquiloni giganti trasportavano le preghiere della gente agli dei.

Continuiamo  camminare, e arriviamo a quel  buco nero per fotografi che sono i mercati del villaggio. Tra i vari commercianti, uno in particolare si presta a questo racconto,  è un timido venditore di pulcini colorati.

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I pulcini fluorescenti sono una moda recente, nata grazie alla popolarità di Angry Birds tra i bambini indonesiani. La colorazione del pulcino è semplice, basta iniettare un colorante alimentare nell’uovo, ed è del tutto innoqua, ma ovviamente la cosa non è vista di buon occhio dagli animalisti più radicali. I pulcini sono del tutto normali, e il colore è perso al primo cambio di piumaggio. Metodi permanenti sono possibili, ma non sono alla portata di piccoli allevatori di paese e vengono utilizzati per scopi più nobili.

“Pochi” scatti dopo vengo trascinato alla macchina dalla mia ragazza, visibilmente stanca di gironzolare senza meta al mercato. Guardo l’orologio, è passata un’ora. I fotografi all’interno dei mercati sperimentano un rallentamento del tempo, la cui intensità è direttamente proporzionale, alle dimensioni del mercato e ad un fattore esotico k che varia da nazione a nazione, e inversamente proporzionale a 1 più il numero di non-fotografi con cui viaggia. E’ pomeriggio inoltrato.

Sulla strada del ritorno imbocchiamo una via residenziale. Trovo le case balinesi affascinanti, si entra attraverso portoni che assomigliano a quelli di un tempio: grandi, elaborati, esotici. Dietro il muro un piccolo giardino con un tempietto, e la casa.

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Ogni tanto sbircio dentro le case, in una trovo 5 fratellini che giocano. Mi salutano, ricambio, ci scambiamo un paio di sorrisi e gli spiego a gesti che vengo dall’italia. Prendo la macchina, e comminciano a schiamazzare contenti, gli scatto una foto, poi si mettono in posa e gliene scatto un’altra. 

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Li saluto e continuo per la mia strada, mentre penso che una delle cose che mi hanno veramente colpito di Bali è la gentilezza e il calore dei sui abitanti. Chi parla qualche parola di inglese attacca bottone, vuole fare conversazione; ho incontrato solo gente cordiale, amichevole e sorridente, indipendentemente dall’età.

(fine parte 1)

Andrea Cavallini

 

 

Riflessioni sul Magico Carnevale di San Felice sul Panaro

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Domenica scorsa sono stato per la prima volta al “Magico Carnevale” di San Felice sul Panaro. Nato nel 2003 parallelamente al tradizionale carnevale come concorso fotografico organizzato dal locale circolo; “Magico” è diretto ogni anno da un regista differente e coinvolge gli abitanti del paese modenese in una raffigurazione in costume tra le vie della città. Il tema dell’edizione di quest’anno era l’impressionismo e i figuranti ritraevano personaggi di quell’epoca, frequentemente rappresentati nei dipinti.

La mia predisposizione assolutamente positiva è stata tuttavia cancellata appena iniziato lo spettacolo. Il “Magico Carnevale” si è rivelato fin da subito una rappresentazione ad uso e consumo dei fotografi, ben poco contestualizzato nel paese e non affiancato da un’atmosfera di festa. I figuranti posavano in set precostruiti mentre i fotografi si accalcavano per ritrarli, spesso spingendo, insultando o ponendosi in maniera molto aggressiva verso i figuranti stessi.

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Ho scattato diverse foto, non ho l’ipocrisia di affermare che i costumi non fossero attraenti anzi, tutta la mia stima va verso chi ha creato gli abiti e agli abitanti di San Felice sul Panaro che hanno imparato a recitare, coinvolgendo persone di tutte le età, senza distinzione di ceto o professione.

Tuttavia mi chiedo: è fare fotografia scattare ad una manifestazione di questo tipo? Ritrarre in set prestabiliti senza alcun coinvolgimento ed empatia tra fotografo e soggetto non mi ha trasmesso alcuna emozione ne credo abbia contribuito a migliorare le mie doti tecniche. Al momento dell’uscita dei figuranti nella piazza antistante alla Rocca Estense, gravemente danneggiata dal terremoto, centinaia di fotografi hanno iniziato a scattare con potenti teleobbiettivi insultando spesso il proprio vicino. Esagerando un po’, ho provato lo stesso imbarazzo allo zoo o in un grande acquario. In questi luoghi la distanza fisica tra fotografo e soggetto è minima a scapito di un’enorme distanza empatica. Non si ha la sensazione di essere coinvolti nell’ambiente, la grata della gabbia o il sottile plexiglas della vasca separano due mondi (uno dei quali ricostruito), distanti solo pochi centimetri.  L’immagine  prodotta in questi set è ridotta a mero oggetto feticistico; ottenuta con minimo sforzo tecnico e creativo e assolutamente senza alcun coinvolgimento e impegno emotivo. Nella fotografia di reportage, in particolare in quella “di strada”, per realizzare un buon ritratto si deve stabilire un contatto emotivo, dare una parte di se, che può essere anche solo un sorriso al soggetto, perché questo sia della giusta predisposizione per ottenere una buona foto. In un contesto come quello del “Magico” non ho mai sentito ringraziare un figurante anzi, le bestemmie volavano quando una ballerina stanca cambiava la posa.

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Voglio comunque sottolineare gli aspetti positivi nel Magico Carnevale si San Felice, uno di questi è il coinvolgimento degli abitanti, tra cui persone con disagi sociali e diversamente abili che hanno dovuto imparare le basi della recitazione, il lavoro incredibile di sarti e truccatori e, infine, la volontà di mantenere vivo il tessuto sociale di un paese gravemente danneggiato dal terremoto emiliano.

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Ferraresi #1

Questo sarà il primo di una serie di post sul nuovo progetto fotografico che intendo sviluppare nei prossimi mesi.

Obbiettivo del progetto è ritratte i ferraresi, abitanti vecchi e nuovi della città in cui vivo e che amo e che è spesso, a parer mio ingiustamente, accusata di essere una città noiosa, priva di stimoli e nella quale non accade nulla di interessante. E’ mia opinione che al contrario, Ferrara sia una città che unisce storia, integrazione e una grande attenzione alla cultura. Ho deciso così di spendere qualche mese in un progetto di “street photography” tra le strade e i vicoli della città estense per raccontare le storie dei suoi abitanti!

Il primo scatto è stato una sorpresa. Era una giornata piovosa, passeggiavo per Via Mazzini, una delle arterie pedonali adibite allo “struscio” pomeridiano, quando da un piccolo bar esce un signore dall’aspetto bonario e si accende un sigaro toscano, un momento chiaramente da tempo atteso!

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Il secondo scatto è al volto di un tassista illuminato dal tablet…

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…e a una bella famiglia a passeggio per un vicolo poco illuminato in Piazza Duomo…

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Danger-Christchurch (New Zealand)

Christchurch (Nuova Zelanda)

Il 3 Settembre 2010 un terremoto di magnitudo 7.1 colpisce l’isola meridionale della Nuova Zelanda. Viene subito definito “il terremoto di Christchurch” dal nome della seconda città del paese che risulta la maggiormente colpita. Sono arrivato ieri a Christchurch, tra qualche ora partirò per Antartide con un C130 dell’aereonautica americana. Prima di partire ho tempo per fare due passi per la cittadina e scattare qualche foto. Il terremoto ha provocato gravi danni, soprattutto agli edifici in muratura, il centro è transennato e la cattedrale, gravemente danneggiata, viene aperta solo la domenica “a rischio e pericolo dei fedeli”. Il sisma ha provocato 181 vittime e centinaia di feriti, il conto sarebbe state ben più grave se non ci fosse stata una attenta prevenzione. Molti edifici sono stati costruiti con criteri antisismici che hanno evitato che crollassero completamente. Infatti, se osservati esteriormente molti edifici non sembrano presentare gravi danni, ma risultano comunque inagibili. I negozi sono stati abbandonati così com’erano, in vetrina orologi, abbigliamento e gioielli sono ricoperti di polvere e detriti. I neozelandesi non sono popolo che si piange addosso, i negozi sono stati riattrezzati in container e la CERA (Christchurch Earthquake Reconstruct Agency) sta lavorando alla clemente per far tornare tutto alla normalità. Stupisce l’ordine,  la pulizia e la cura delle aiule collocate tra i container e il sorriso che sempre accompagna il saluto di un neozelandese! Forza Kiwi!

Un cafè in un container nel centro di Christchurch

Padre e figlio devoti a S.Agata

Catania (Italia) – Festa di S.Agata

Sono molto affezionato a questo scatto. Mi trovavo a Catania, dove ho vissuto per quasi tre anni, durante le festa per il patrono cittadino: Sant’Agata. S.Agata è stata, secondo la tradizione cristiana, una giovane vissuta tra il III ed il IV secolo, durante il proconsolato di Quinziano. Consacrata all’età di 21 anni come diaconessa, lo stesso Quinziano si sarebbe invaghito di lei, ordinandole di abiurare Cristo e convertirsi agli dei pagani. Al rifiuto della giovane, il proconsole dapprima tentò di corromperla affidandola alle sacerdotesse si Venere e Cerere poi, vista la mancanza di risultati, la processò. Incarcerata e sottoposta a terribili sevizie spirò nella sua cella il 5 febbraio 251. Sant’Agata è molto amata dai catanesi che la venerano la prima settimana di febbraio. In quei giorni decisi di fare una passeggiata, proprio per cercare di fotografare l’estasi mistica nei volti dei devoti. Mi imbattei in un padre con il figlio adolescente, trasportavano, come vuole la tradizione enormi e pesantissime candele, il cui peso è direttamente proporzionale alle devozione verso la santa. Aspettavano l’arrivo delle candelore, baldacchini decorati con ori e addobbati, portati a spalla da decine di fedeli, ognuno dei quali appartenente ad una corporazione di artigiani. Mi ha impressionato il loro sguardo, illuminato quasi esclusivamente dalla luce delle candele.

Ciao, a presto…

Caccia grossa

ANGAMASSALIK – Groenlandia orientale, Agosto 2011

Quel giorno stavo rientrando da un lungo trekking, partito dalla parte opposta della baia, ero arrivato nel villaggio di Angmassalik alle 19 di sera, dopo circa 18 km di cammino. Stanco a causa del forte sole che in Groenlandia non lascia tregua, non vedevo l’ora di rientrare alla Red House, il rifugio gestito da Robert Peroni e base di tutte le spedizioni in questa zona del paese. Camminavo attraverso il paese assaporando la prossima cena con il pensiero, quando vengo sorpassato da un pick up sul quale quattro inuit festeggiavano, alzando i fucili da caccia verso il cielo. Nel cassone dell’automobile si trovava una enorme testa nera e una lunga pinna…Inizialmente pensavo si trattasse di uno squalo,incuriosito decisi di seguire il pick up. Dopo pochi metri si fermò davanti ad una casa e subito tutto mi divenne chiaro. I cacciatori avevano ucciso un’orca. L’enorme corpo era stato spezzettato già in mare e le parti commestibili suddivise in decine di sacchetti di plastica, mentre le porzioni di scarto, tra cui l’enorme pinna nera, da utilizzare come cibo per i cani da slitta, messe in un grande bidone. I cani avevano sentito l’odore della preda e ululavano ininterrottamente, i primi ad essere nutriti furono tre simpatici cuccioli. Dalla casa uscì la moglie del cacciatore mettendosi le mani nei capelli per tutta quella carne da trattare per essere conservata. I cacciatori erano felici ed esultanti, la carcassa del cetaceo avrebbe sfamato diverse famiglie e i cani per parecchio tempo, la caccia grossa era andata a buon fine, non restava che fare una foto con l’enorme testa del predatore!

Giochi inuit

Tiniteqilaaq, Groenlandia-Agosto 2011

E’ passato un po’ di tempo dall’ultimo post. Ho passato i mesi di Luglio ed Agosto lavorando in Islanda e in Groenlandia; proprio da qui viene questo scatto. Mi trovavo nel piccolo villaggio di Tiniteqilaaq, nella parte orientale del paese. Avevo montato la tenda su un pianoro sopraelevato con una stupefacente vista del fiordo di Sermilik, ostruito dagli iceberg. Stavo cominciando a preparare qualcosa di caldo per cena quando un gruppo di scalmanati bambini inuit sono venuti a curiosare e a giocare a rincorrersi proprio intorno a me. In particolare uno di essi si divertiva a venirmi vicino urlando la parola “tupilak” e facendo delle boccacce. In passato i tupilak erano feticci, costituiti da resti di animali cuciti insieme dagli stregoni e inviati a lottare contro gli spiriti maligni. Ora sono piccole statuette totemiche in osso o in legno che raffigurano questi mostri terribili! Così anche io con la macchina fotografica mi misi a dire: “tupilak” e a fare boccacce…senza dimenticarmi di scattare una foto a questi bambini sempre sorridenti, futuro di un popolo fiero e dalla contagiosa gentilezza!

Ciao